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Onnagata




9 febbraio 1991
Artista tra i più versatili e sfuggenti ad una precisa collocazione, Kemp è mimo, ballerino, coreografo, attore e regista in grado di mescolare le passioni della vita all’esperienza del teatro. Di sé sostiene di essere discendente del clown shakespeariano William Kemp e probabilmente è stato lui ad ispirare il Cirque Nouveau e ad influenzare le nuove compagnie di danza contemporanea come Momix e Cripton. La sua formazione deriva dall’infantile passione per il teatro, la danza e il cinema insieme. Cresciuto nel nord dell’Inghilterra si è trasferito a Londra per frequentare la scuola di danza classica del Ballet Lambert, per la cui Compagnia ha realizzato nel 1975 The Parade’s gone by e nel 1977, assieme a Cristopher Bruce, Cruel Garden. Ha poi studiato danza moderna con Charles Wiedman e mimo con Marcel Marceau. Già dalla metà degli anni Sessanta la ricerca di Kemp muove sul versante della sintesi della diverse forme artistiche: l’innesto di diversi linguaggi teatrali dà vita ad un pastiche di danza e teatro fondato su tecniche nuove e personalissime. Risale alla stagione 1968­1969 la prima produzione di Flowers, il grottesco affresco dedicato alla vita e agli scritti di Jean Jenet che nella nuova versione del 1973 si affermerà come il capolavoro di Kemp. Dopo il debutto in un piccolo teatro londinese viene catapultato dallo straordinario successo a Broadway.
La sua Compagnia fondata nel 1964 (la Lindsay Kemp Dance Company) porta lo spettacolo e quelli successivi in giro per il mondo, ma soprattutto in Spagna a in Italia dove Kemp ottiene un grande seguito e molti apprezzamenti. Il suo lavoro è indefinibile se si pensa ad un genere unico: si tratta piuttosto di una danza onirica, ricca di suggestioni e dai forti effetti spettacolari ottenuti attraverso l’uso sapiente di luci e musica. Ed è altro ancora. Le atmosfere rarefatte e allucinate, l’erotismo ambiguo e i racconti visionari sono realizzati attraverso movimenti en ralenti, corpi sinuosi e infarinati, travestitismi che affascinano pubblico e critica. Assai spettacolare è l’onirica versione shakespeariana di Sogno di una notte di mezza estate (1980), ma da ricordare sono anche la Salomé (1977), Sogno di Nijinscky o Nijinscky il matto (1983), Alice (1988). Il grande successo di quest’ultimo spettacolo è dovuto anche alle musiche tratte dall’opera omonima di Sergio Rendine e Arturo Annecchini. In questi stessi anni realizza The big Parade, omaggio al cinema muto e alla settima arte in generale. Questa passione giovanile, mai abbandonata, lo ha visto interprete sul set di Messia selvaggio (1972) e Valentino (1977) di Russel, di Sebastiane (1976) di Barman e in Cartoline italiane di Memè Perlini. Il cinema tornerà negli anni Novanta a influenzare le scelte artistiche di Kemp nella realizzazione di Rêves de Lumière (1998). Le collaborazioni con artisti internazionali sono tante e varie anche nel campo musicale. Già negli anni Settanta aveva collaborato all’allestimento dello spettacolo­concerto di David Bowie al Rainbow di Londra. Nel 1983 Kate Bush lo ospita nel video musicale prodotto per il lancio del suo LP The red shoes. Accanto a queste attività Kemp continua a dipingere allestendo mostre in tutto il mondo e soprattutto insegna i segreti della sua arte nel corso di incontri, stage e conferenze. Lo spettacolo Lindsay Kemp torna a Bari in un periodo di nuova riflessione sull’arte teatrale. Dopo numerosi complessi spettacoli, torna a desiderare la semplicità e la libertà dello spettacolo interpretato da un solo artista. Quella che lui crede la specificità dell’arte dell’interpretazione è la sua sfida suprema. Egli desidera tornare davanti al suo pubblico solo, con tutte le sue risorse e le sue qualità attoriali. Da queste intenzioni nasce lo stupefacente spettacolo Onnagata, una sorta di compendio della variegata poetica di Kemp che fa i conti con l’universo femminile e con l’Oriente, cioè con due dimensioni che lo affascinano da sempre e che tanta influenza hanno avuto sulle sue scelte artistiche. In effetti gli “onnagata” erano gli attori per ruoli femminili del kabuki giapponese.
Ciò che lo coinvolge sono le immagini esotiche e di viaggio (molti oggetti scenici come i ventagli e i veli riconducono al mistero delle lontane terre straniere). Kemp si affida poi alla stilizzazione estrema, all’uso particolare del silenzio e del vuoto, del detto e del sottointeso, che caratterizzano il teatro e l’arte visiva giapponesi. Anche questo spettacolo, accompagnato dalle musiche composte da Joji Hirota, ha suggestionato la platea barese e ha contribuito a cristallizzare il mito già affermato di Kemp.
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